CRONACA, LETTERARIA E NON, DELL'ANDAR PER MARE







venerdì 7 maggio 2010

Partire


Ero ventenne o poco piu' e come tutti, credo, anch'io sognavo di partire. Partire conteneva una promessa, spingere i pensieri e lo sguardo lontano, fin dove la vista non puo' piu' vedere, e varcare con la mente un orizzonte esistenziale, era gia' trovarsi in uno spazio d'alto mare. Partire interrompeva l'univocita' del mondo conosciuto, alzava un sipario sul duello tra le forze opposte e controverse. Tra il coraggio e la paura, tra la conoscenza e il non sapere, tra la pienezza del mondo di terra e l'incertezza del mondo di mare. Voglio pensare che partire sia per definizione una partenza in mare. In mare, Omero da' luogo a quella che e' la Madre di tutte le partenze: un viaggio che diventera' per l'Uomo il viaggio verso la propria coscienza. Partire e' un verbo intransitivo e non solo nella sua accezione di grammatica, esprime quasi il volgere la prua ad una rotta senza ritorno, ad un percorso di sola andata; perche' sempre e comunque produce una falla, per quanto sottile, irreparabile. Che a volte, spesso forse, e' un lasciapassare di salvezza e un passaporto di rinascita. Partire e' anche la piu' naturale e insopprimibile sfida degli anni della giovinezza, il desiderio di una fuga verso un altrove indefinito, una chimera irresistibile che, prima o poi per tutti, affiora nella confusa marea delle ipotesi e dei sogni. I sogni, che per la loro misteriosa inconsistenza hanno il diritto di cittadinanza nel piu' simbolico e indeterminato continente: il mare.
(Valeria Serra, Le parole del mare)

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