CRONACA, LETTERARIA E NON, DELL'ANDAR PER MARE







venerdì 29 gennaio 2016

Mercante d'acqua



Di famiglia in famiglia raggiunsi il mare e chiesi lavoro ai pescatori. Sembravo nato per riparare le reti, sistemare le vele, reggere il timone. Il vento fra i capelli mi faceva sognare altri mondi e l’infinito del mare mi trasmetteva un profondo senso di pace. Decisi di restare come se fosse la mia scelta di vita. Poi arrivò l’inverno e scoprii il lato duro del mestiere. Quando infuriava la bufera, i nostri barconi diventavano gusci di noce che rischiavano continuamente di rovesciarsi. Fra lavoro, canti e paure i mesi volarono impalpabili, finché tornò il tepore della primavera. Una mattina il capo dei pescatori – un pezzo d’uomo con una zazzera bianca e una barba altrettanto candida che risaltavano sulla carnagione olivastra  mi disse di prepararmi, saremmo usciti per due settimane. “Quindici giorni in mare?” chiesi. “No,” rispose lui, “andiamo su un’isola a un giorno di barca da qui. Ci fermeremo per raccogliere coralli, questa è la stagione propizia.” Il tempo di arrotolare il sacco a pelo e preparare lo zaino e raggiunsi gli altri per occuparmi delle provviste. Stivammo pane, farina, salsicce, formaggio, frutta. Quanto bastava per la traversata e le necessità dei primi giorni. Con l’acqua, invece, abbondammo. Gli ordini del capo erano stati chiari: “Caricate più acqua che potete. Se possibile, per l’intera permanenza”. “Perché?” chiesi incuriosito. “Lo capirai da solo,” tagliò corto lui, quasi seccato. Quando la costa fu alle nostre spalle, mi accorsi che mi accompagnava un altro spirito. L’idea di navigare senza fermarci a gettare le reti mi faceva sentire come un turista in crociera e alcuni particolari che prima davo per scontati ora mi apparivano sotto un’altra luce: i gabbiani ci seguivano come angeli custodi e i delfini si esibivano in giochi acrobatici. E poi l’azzurro del mare, sempre diverso. Turchese, blu cobalto, una sinfonia di tonalità che prima dell’imbrunire lo trasformavano in blu scuro, quasi nero. Per cena, pane e salsicce. Il cibo piccante stimolò la voglia di vino e ci passammo il fiasco di mano in mano. Seduti uno accanto all’altro, spalla contro spalla, le schiene appoggiate alla battagliola, l’allegria si diffuse come un’epidemia. Il profumo del legno intriso d’acqua mi solleticava le nari. Chiusi gli occhi, volevo acuire il senso dell’olfatto. Luk, in mezzo alla cui barba rossiccia si intravedevano occhi gentili, pizzicava le corde della chitarra. Riaprii gli occhi e mi unii ai canti di saluto al mare. Cantammo sotto le stelle sino a notte fonda. Quando la voce mancò e gli occhi cominciarono a chiudersi, ci sdraiammo e ci addormentammo.
 
(Francesco Gesualdi, Il mercante d'acqua) 

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