CRONACA, LETTERARIA E NON, DELL'ANDAR PER MARE







martedì 15 luglio 2014





Lassù, nel camposanto di Porto Venere, il sale sbattuto dalle raffiche del libeccio aveva cancellato il nome dalla croce di Luigi Comiti, detto Yé. Così era chiamato da quando, al ritorno dal suo primo imbarco per l'America, agli amici che gli si rivolgevano rispondeva laconicamente: "yé...yé". Era nato sul finire del 1800 in qualche catapecchia del borgo. Attratto dal mistero di terre lontane e dal fascino "della scia che la nave lascia dietro la poppa", s'imbarcò giovanissimo toccando i porti di New York, Liverpool, Amburgo, Anversa, Montevideo, Casablanca, dove divenne assiduo frequentatore di bettole e bordelli. Si dimenticava spesso di tornare a bordo, a volte costringendo il capitano a ritardare la partenza della nave. A Rosario di Santa Fé indugiò più del solito al bordello, tanto da arrivare al molo quando la nave stava ormai staccando. Riuscirono ad issarlo a bordo e di peso lo portarono in cuccetta. La sbornia gli passò a notte fonda nelle fredde acque dell'Oceano Atlantico, dove si ritrovò quando la nave fu spezzata e affondata da un colpo di mare di orrenda potenza. Sopravvisse agli attacchi degli squali ed al gelo dell'acqua del mare che fecero strage di naufraghi e, unico superstite, venne rimpatriato tramite il Consolato italiano. Al ritorno dagli imbarchi si faceva condurre a Porto Venere in carrozza e, finché aveva soldi, alloggiava all'albergo Paradiso, sfoggiando abiti vistosi, cravatte sgargianti e scarpe marrone chiaro lucidissime. Quando "il castello cominciava a tirare i sassi" (i soldi erano finiti), com'era e com'è uso dire in paese, lo si vedeva adattarsi a fare il facchino o a vagabondare fra le Porte, la Calata e l'Osteria, ove si ritrovava con Giambà, Nanai, Manganella e Ricci, compagni di lavoro, ma soprattutto di sbornie e risse. In quelle giornate trascorse per buona parte nell'ozio, Yé sognava l'Oceano e i ragazzi accorrevano, muti e affascinati, ad ascoltarlo narrare arcane storie di mare. Alla sera "L'Esperia", il vaporetto che faceva servizio fra Porto Venere e La Spezia diventava la sua casa. In estate se ne stava, vagabondo delle stelle, in plancia, mentre in inverno l'accoglieva, odoroso di fumi di carbone, il tepore della caldaia. In una di quelle sere in cui il libeccio batte rocce e scogli, s'infila nelle case attraverso gli usci e le finestre, scappa e s'insegue nel carrugio e nei caruggetti, e, all'osteria, fra bestemmie e imprecazioni, si respiravano ancor di più aliti di vino e leggende di mare, Yé fu visto per l'ultima volta. Aveva alzato il gomito più del solito, il piede fallì e penzolò nel vuoto fra il pontile e il bordo dell'"L'Esperia". Il mare, che già con lui era stato generoso, quella volta non lo perdonò. Lo ritrovarono, il giorno dopo e, così com'era, lo portarono al cimitero e lo seppellirono nel campo vicino alla cappella, proprio al cospetto del mare. Trascorsero quarant'anni e un giorno Giuseppe Baracco, chiamato Bibi, un giovane amico che da Yé era stato spinto a intraprendere la vita del navigante col racconto di fantastiche e affascinanti avventure vissute nei golfi del Leone e di Guascogna, pensò che anche lui era di Porto Venere e che non fosse giusto abbandonarlo così: una croce senza nome. Allora gli amici di un tempo decisero di andarlo a trovare al camposanto. Giuseppe cantò la storia della sua vita, poi alzarono i bicchieri e assieme a Yé brindarono con del vino, versandone sulla terra della sua tomba. Più tardi, al posto della croce consunta e sbrecciata, ne posero una di marmo lucente, sulla quale era stata incisa una piccola frase: "Yé - Gli amici". Da qualche anno la tomba di Yé è stata rimossa, pertanto questo ricordo è l'unica testimonianza di un episodio di "gotti (bicchieri) e d'amicizia".

(Giorgio Giorgi, Il marinaio di Porto Venere)

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