CRONACA, LETTERARIA E NON, DELL'ANDAR PER MARE







giovedì 5 febbraio 2015

Tempeste perfette



Ho letto con attenzione la tua lettera. Parli del mare e anche della tempesta in cui ti trovi, dell'incertezza e della vita. Deduco che sei giovanissimo, e vorrei raccontarti un paio di cose a questo proposito. Ho cinquantanove anni e amo il mare, ma ormai navigo solo nel Mediterraneo. L'età in cui ero sedotto da altri mari e altre coste è passata. Con i fili bianchi nella barba e le rughe sul viso, ho finito per essere certo che la mia vera patria è il luogo vecchio e saggio, ricordo di vele bianche e naufragi, da dove arrivarono gli eroi, gli dei e le antiche leggende che mi raccontarono, con il rumore della risacca in sottofondo, uomini dalla pelle abbrustolita e con gli occhi bruciati dal sole. Chi di quelle acque conosce soltanto le rive, le crede sempre calme, azzurre, con placide albe e tramonti rossi. Non sa che vi si possono scatenare senza preavviso le tempeste più furiose: il mare che colpisce in modo spietato, volubile e traditore. In realtà, nessun mare è cattivo. E' il vento a renderlo pericoloso e mortale. Ma a differenza dell'Atlantico, dove a volte è possibile prevedere l'intensità, la traiettoria e la durata delle burrasche, e l'onda è generalmente lunga e distesa, più governabile, il Mediterraneo scatena la sua furia di punto in bianco, con venti inaspettati e un'onda corta, assassina, che massacra le barche e sfinisce chi le governa. Ho vissuto tra marinai fin da bambino e sono cresciuto tra racconti di mare. Non ho mai dimenticato il rispetto con cui i vecchi capitani, esperti di tutti gli oceani, parlavano del mare terribile che le burrasche da nord provocano nel golfo di Leon. In seguito, con il passare del tempo, ho avuto occasione di verificare personalmente come sia capace di colpire il Mediterraneo blu quando è stronzo e di malumore. Quando si copre di barbe grigie. Ho già parlato qui una volta di queste situazioni: si verificò a bordo della petroliera Puertollano, il Natale 1970, quando doppiando Capo Bon, davanti alle coste di Tunisi, trovammo un mare orrendo con onde di dieci metri e un vento di forza 10, definito come tempesta dalla scala Beaufort. In altre occasioni non sfuggii ai tremendi maestrali del golfo di Leon o alle burrasche di nord-ovest del canale di Sardegna; con l'angoscia che comporta, in quei casi, essere al comando della propria barca e dover prendere le decisioni essendo per di più responsabili delle vite dell'equipaggio. E ti assicuro che un maestrale di forza 8 che ti colpisce il mascone di dritta per ore, con una sola trinchettina alzata, la randa ridotta di tre mani e la barca - solida, fedele e capace di tenere il mare, sia benedetta - che naviga a otto nodi ingavonata fino al trincarino, saltando e dando mazzate tra spruzzi e raffiche sulla maledetta onda corta mediterranea, è qualcosa che, per quanto tu possa amare il mare, può fartelo rinnegare insieme alle barche e tua madre. Eppure, in questo c'è del buono. Quando tutto finisce bene, se la barca è stata ben governata e sei salvo in acque tranquille, un legittimo orgoglio ti riscalda il cuore: hai superato la prova. Hai portato in porto la barca, l'equipaggio e te stesso. Sei un marinaio. Hai fatto le cose come dovevi e adesso sei al sicuro. Contando solo sulle tue forze, stringendo i denti, senza agitarti, sei stato là fuori, dove nessuno può dire basta, sentite, fermate tutto, voglio scendere. E a prescindere da qualsiasi titolo di capitano di yacht tu abbia in casa, possiedi il miglior certificato nautico del mondo: ne sei uscito vivo, con la tua barca. Perché se è vero che il mare, quando decide, finisce per ammazzare chiunque, compreso il migliore dei marinai, è anche vero che prima fa fuori gli imbranati, gli arroganti e gli imbecilli; quelli che mancano della sufficiente esperienza o dell'umiltà - che in quel caso sono sinonimi - per capire che il mare, esatto riflesso della vita, con le sue burrasche impreviste e i suoi scogli in agguato da qualche parte, è un luogo pericoloso. E che una salutare e continua incertezza, la diffidenza di chi sa sempre di trovarsi in territorio nemico, aiuta a rimanere vivi. Ecco, è tutto, o quasi. Volevo solo dirti che, come il mare, anche la terraferma - ingannevolmente ferma - ha tempeste perfette che si scatenano nel cuore umano, mettendolo alla prova, misurandone la resistenza e il coraggio. Non c'è migliore addestramento e occhio da marinaio per affrontarle che una salutare incertezza, la lucidità, la tenacia e la cultura: ti aiuteranno a sopravvivere tra le tue personali burrasche con mare forza 8. E nel peggiore dei casi, se non c'è alternativa, a naufragare con la tua barca lottando fino alla fine, silenzioso e sereno, da buon marinaio. Con la consolazione di sapere che hai fatto tutto il possibile.
 
(Arturo Perez- Reverte, Le tempeste perfette)  

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