CRONACA, LETTERARIA E NON, DELL'ANDAR PER MARE







sabato 27 gennaio 2018

Il grande marinaio


Al risveglio sto ancora sognando di pesca, di halibut che abbraccio per sgozzarli meglio, di lenze che filano e ci sfuggono. Mi sveglio del tutto nell'aria abbacinante del ponte. E' l'ora del traghetto e del suo richiamo. Corro verso la montagna sul legno umido del pontile. Non mi sono ancora tolta dalla faccia le barbare pitture, i segni scarlatti, gli emblemi guerreschi della mia prima caccia all'halibut. Li lavo via al rubinetto del dock. Quando mi accoccolo mi trafigge una punta infuocata. L'acqua zampilla e cola lungo gli avambracci. Mi alzo e mi scrollo, mi asciugo con il lembo meno sporco della maglietta. Di fronte a me una barca variopinta: Kayode. Alcune lattine vuote sono rotolate attraverso il ponte. Corro ancora fino alle banchine. Seduta su una panca guardo la flotta addormentata. Di tanto in tanto una barca oltrepassa l'imboccatura del porto. Non sono ancora rientrate tutte. La Mar del Norte ha superato la boa. Sembra pesante e avanza lentamente. Ho ritrovato Jason al bar. Da mezzogiorno le sale buie sono sempre affollate. Gli uomini sbraitano e si ubriacano, con le mani scorticate appoggiate sul legno dei banconi. Le dita gonfie giocano con il bicchiere o con la sigaretta, impastano una pallina di tabacco prima di infilarla sotto il labbro. Raccontano tutti la stessa cosa. Che sono stati bravi e che hanno riempito la stiva. Davanti agli stabilimenti la fila è così lunga che per scaricare bisogna mettersi in lista. Allora fanno stime, supposizioni, ordinano un altro bicchiere. Si parla di una barca che sarebbe colata a picco perché il pesce abboccava troppo... La stiva era piena, il ponte ricoperto di halibut, ne arrivavano ancora... Alle cinque del mattino i guardacoste hanno ricevuto un MAYDAY pressante. Il tempo di arrivare e la barca era affondata, l'equipaggio sparpagliato galleggiava nelle tute di sopravvivenza... Quei cretini dei guardacoste, lo skipper un deficiente... Tutti sghignazzano. Beviamo tequila alla salute delle nostre barche. Jason racconta febbrilmente la sua notte, l'alba nei marosi e nel sangue, parla in fretta, le parole si accavallano, sotto le cespugliose sopracciglia arancioni gli occhi sono tizzoni che fissano un punto lontano, forse l'angolo più rosso del bar dietro i tavoli da biliardo. Ordiniamo altri White Russians, poi rhum per lui, il filibustiere, e vodka per me. Alla fine sono sbronza. Torno alla barca ed è buio pesto. Cerco di camminare diritta. Non devo cadere nel porto. Di sicuro starei male, con tutte le esche marce che ci hanno buttato dentro. Sulla barca, nessuno. Mi faccio un panino e un caffè molto forte. Mi bevo tutta la caffettiera. Fuori gli altri ridono e si scatenano. Non ho più sonno. Esco di nuovo. Questa volta cammino dritta. Devo dipingere la città di rosso. Adesso sono un vero pescatore.

(Catherine Poullain, Il grande marinaio)

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