Doppiavamo il Sunion, costeggiavamo l’Eubea. Passammo vicini alla baia di Iolco, vedemmo in lontananza biancheggiare la città ed ergersi sul colle il palazzo di Pelia e mi chiesi dove fosse allora la nave Argo che aveva conquistato il vello d’oro in Colchide, ai confini del mondo. Forse giaceva coricata su un fianco come un cetaceo spiaggiato, i mitili ne incrostavano la chiglia, la gente ne tagliava l’albero e i parapetti per farne legna per l’inverno. Troppo grande, costruita e fatta per uomini troppi grandi. Ormai inutile. “Io credo che le navi abbiano un’anima, lo sai ?” dicevo. “Cantano nel vento, gemono nella tempesta, sussurrano nella brezza della notte, e quando esalano il loro spirito, relitti abbandonati e tristi, piangono, e la loro voce si confonde con quella delle onde e dagli occhi che hanno sulla prora scendono lacrime che si perdono nel mare”.
(Valerio Massimo Manfredi, Il mio nome è Nessuno - Il giuramento)
Nessun commento:
Posta un commento