CRONACA, LETTERARIA E NON, DELL'ANDAR PER MARE







domenica 23 maggio 2010

Prendere il largo


Avevo davanti il mare, un Atlantico pieno di domande e suggestioni. La vela era il solo mezzo per restarci a lungo, ma era solo un mezzo. Il fine erano il durante e il mare. Quel mare aperto, che comincia non appena una cima si scioglie dall'ormeggio.
In quell'attimo, la partenza si dilata nel suo immenso divenire e svolgersi. In quell'attimo, la vita e' sospesa tra quello che e' stato e quello che sara' o potrebbe essere. Il rito della partenza e' come un istante alla deriva, sospeso allora in una terra di nessuno, in un territorio di frontiera dove non si e' piu' cittadini della terra e non ancora passeggeri del mare. Nell'atto di partire non si appartiene piu' neppure del tutto a se stessi. Per questo diventa anche un'esperienza di dolore, di separazione e nostalgia. Emozioni inevitabili affinche' un viaggio possa compiersi davvero; e non solo sull'azzurro radioso degli oceani, ma anche e soprattutto, sulle mappe interiori di se stessi. Partire per mare, prendere il largo e andare incontro all'improvvisa vacuita' di un orizzonte, quale che sia la destinazione finale, e' sempre un momento di solennita', di necessita', di solitudine, di ebbrezza, di gravita', d'irragionevolezza e di speranza.
(Valeria Serra, Le parole del mare)

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