CRONACA, LETTERARIA E NON, DELL'ANDAR PER MARE







domenica 11 agosto 2019

Orak Adasi - Foca


Nella notte vengo svegliato da delle forti raffiche. Il vento da nord-est prende vigore scendendo dal rilievo alle spalle del nostro ridosso. La stazione del vento non segna mai piu' di 23-25 nodi, ma l'impressione e' che siano di piu' visto l'effetto che le raffiche provocano sulla superficie dell'acqua e considerato il brandeggio della barca. In cielo la luna e' quasi piena e non ho bisogno di accendere la frontale per vedere il segnale dei 40 metri sulla catena mentre la faccio scorrere per allungare la linea d'ancoraggio e dormire cosi' un sonno tranquillo. Ci svegliamo alle 6,30. Il vento si e' calmato e facciamo colazione in pozzetto godendoci la solitudine che ci circonda. Poi recupero un po' della catena data nella notte. Non vorrei che le barche che sicuramente arriveranno in mattinata finissero con il dare fondo sulla mia linea d'ancoraggio. Lasciamo la baia alle 9 che ancora non e' arrivato nessuno. Mi tengo lontano dalla zona nella quale la sera precedente avevo visto gettare delle reti da un gozzo di pescatori. Usciti dal ridosso di Orak Adasi il vento rinforza nuovamente riempiendo il mare di creste bianche. Lasciamo Fenar Adasi, un isolotto circondato da bassi fondali, sulla dritta e ci avviciniamo al porto di Foca sul quale si affaccia l'ennesimo castello costruito dai Genovesi in questa parte di Egeo. Il porto risulta molto ben ridossato, ma la banchina e' piena di barche stanziali. Poiche' sul portolano non e' indicato il canale VHF sul quale possiamo contattare il personale del porto, cerchiamo un eventuale recapito telefonico su internet, senza successo. Riusciamo comunque a trovare uno spazio libero nella parte meridionale della banchina, sperando che non sia di qualche barca stanziale uscita per la giornata. Una persona a bordo di un caicco ormeggiato nelle vicinanze ci fa segno di prendere un gavitello arancione di fronte a noi al quale e' agganciata una trappa. E' la prima volta che vedo questo sistema e non sono certo che la trappa, oltre che al gavitello, non sia collegata alla banchina anche tramite un testimone. Effettuo pertanto l'ormeggio di poppa con una certa cautela, assicurandomi che tale eventuale testimone non si impigli nell'elica. Dopo aver mollato un altro po' di trappa a prua ed aver allontanato Habibti dalla barca sottovento sulla quale nel frattempo era scaduta, passo le cime ad un signore che gentilmente ci assiste da terra. Ahmat, l'ormeggiatore, si affacciera' solo ad operazione conclusa per dirci, in un francese stentato, di passare nel suo ufficio a pagare in modo da poterci collegare ad acqua ed elettricita'. Il costo e' di 170 lire turche per una notte, tutto compreso. Vale a dire circa 25 euro. Do una lavata alla coperta e, visto il caldo, ci sediamo all'ombra di un pergolato di un bar non troppo distante dove beviamo un paio di limonate. Di metterci a camminare sotto il sole per visitare il paese per il momento non se ne parla. Trascorriamo li' tutta la mattina, giocando a "tawla", poi, preso finalmente coraggio, ci avviamo sul lungomare in direzione del vecchio porto che si trova sul lato opposto rispetto a quello dove abbiamo ormeggiato Habibti. Per raggiungerlo costeggiamo le mura dell'antica fortezza genovese, restaurate di recente. Qui i Genovesi giunsero verso la fine del XIII secolo interessati a sfruttare le miniere di allume e vi restarono a lungo, anche grazie ad una serie di trattati firmati prima coi Bizantini e poi con gli Ottomani. Foca, oggi localita' decisamente turistica, in passato fu abitata prevalentemente da popolazione greca, fino al tristemente famoso "massacro di Foca", avvenuto nel giugno del 1914 nel quadro della campagna di pulizia etnica voluta dall'Impero Ottomano e messa in opera da bande irregolari turche che spinsero gli abitanti greci sopravvissuti ad andarsene. Oggi, di questa presenza restano le belle case colorate costruite nel XIX secolo. Esse abbelliscono il lungomare sul quale, senza quasi soluzione di continuita', si trovano gli esercizi commerciali, tra cui molti ristoranti. In un negozio compriamo un cosiddetto "occhio di Allah", uno dei piu' diffusi amuleti che si trovano in Medio Oriente, che appenderemo in modo discreto ad uno dei montanti dello sprayhood. Quello che in questi anni ci ha accompagnato e' infatti andato perduto e Tania lo vuole assolutamente rimpiazzare. Mentre passeggiamo noto un ristorante che potrebbe fare al caso nostro. Devo dire che solitamente ho un buon intuito in queste scelte. E anche questa volta ci ho visto bene. Il "Foca Restaurant", come c'e' scritto sui tendoni che proteggono i tavoli dal sole, si rivela ottimo. Serviti da camerieri molto attenti ci gustiamo dei gamberoni e un polipo alla piastra, entrambi eccezionali, e un'orata con le patatine fritte. Il tutto accompagnato da un "raki" Tekirdag Gold, il migliore in assoluto. Un grazie ad Umit che ce lo ha fatto scoprire. Dopo pranzo, che terminiamo a pomeriggio avanzato, prendiamo un gelato facendo una lunga coda all'esterno di una gelateria. E' buono, ma non all'altezza delle aspettative. A questo punto non ci resta che tornarcene in barca dove trascorriamo il resto della serata seduti in pozzetto guardando lo struscio serale.

(Giornale di bordo) 

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