CRONACA, LETTERARIA E NON, DELL'ANDAR PER MARE







venerdì 18 ottobre 2019

Lakki (Leros) - Ormos Palionisos (Kalymnos)


I nostri vicini francesi sono partiti presto, prima che noi ci alzassimo. Lasceranno la barca nel cantiere “Arthemis”,  uno di quelli che abbiamo visitato ieri. Mentre anche noi con calma ci apprestiamo a partire, appare sul pontile alle spalle di Habibti un anziano signore che ci chiede: “Siete italiani?”. Alla nostra risposta positiva replica: “Ah! Bene! Io conosco bene gli italiani.... posso salire?”. Li’ per li’ resto un po’ interdetto, ma che gli posso rispondere? “Si accomodi”, replico, “ma salendo per favore mi dia la mano perché la passerella è scivolosa per l’umidità ed è anche un po’ stretta”, aggiungo. “Non si preoccupi, grazie. Faccio da solo”, mi risponde mentre sta già salendo a bordo sedendosi in pozzetto. Poi mi tende la mano. “Piacere, il mio nome è Giovanni, ma qui tutti mi chiamano Giovanni dalle Bande Nere. Sa chi era, vero?”. Lo guardo sempre più interdetto e pensando che probabilmente si tratti di un vecchietto un po’ arteriosclerotico. Poi incomincia l’interrogazione. “Lo sa che qui una volta c’erano gli italiani?”. “Si”, replico. “E sa quando sono arrivati e fino a quando sono rimasti?”. “Beh!”, gli dico, “Sono arrivati nel 1912, quando il Dodecanneso fu acquisito dall’Italia a seguito del conflitto italo-turco e ci sono rimasti fino al 1943”. “Bravo!”, mi dice soddisfatto. “Lo sa che la maggioranza degli italiani che incontro queste cose non le sanno?”. Ed è così che faccio la conoscenza di Giovanni, greco, nato 96 anni fa (dico 96), nella vicina Kos, benché la mamma fosse originaria di Symi e il padre di Rodi. Mi dice che ogni volta che vede una barca con la bandiera italiana viene sempre a salutarla. “Con gli italiani ho cominciato a lavorare nel 1938, quando avevo 15 anni e non mi andava più di studiare. E sono loro che mi hanno insegnato a fare il  saldatore”. Poi mi racconta che Lero, come ancora la chiama lui, a quei tempi era un idroscalo della Regia Aeronautica, oltre che un’importante base navale comandata dal Contrammiraglio Mascherpa, che venne poi fucilato in quanto dopo l’8 settembre del 1943 decise di schierarsi con gli alleati contro i tedeschi in quella che la storia ricorda come “la battaglia di Lero” e che, aggiungo io, porto’ a replicare qui quanto tristemente accaduto alle truppe italiane a Cefalonia. Giovanni mi cita a memoria i nomi delle varie fregate, incrociatori e sommergibili che erano di stanza qui durante la seconda guerra mondiale e, a dimostrazione della sua buona memoria, mi canta anche qualche strofa di qualche canzone del Battaglione San Marco che, aggiunge, “nel 1936, parti’ di qui per la campagna d’Etiopia”. Dopo avermi chiesto e verificato se conoscessi il nome del Negus dell’epoca, Haile Selassie, mi dice: “Tutte queste cose, accadute tanti anni fa, le ricordo perfettamente. Ciò  che purtroppo dimentico è quello che accade oggi”. A questo punto penso che sia venuto il mio turno di far domande e gli chiedo come fossero gli italiani ai tempi in cui occupavano l’isola. Prima di rispondere mi chiede di aprire le cinque dita della mano. “Le vede le sue dita?”, mi dice, “Sono tutte uguali?”. Decisamente una bella risposta. Oggi Giovanni vive da solo. Negli ultimi anni lo Stato gli ha ridotto la pensione da 800 a 600 euro al mese. La moglie è mancata un po’ di tempo fa e tutti i suoi vecchi amici non ci sono più. Si occupano di lui le due figlie, una di 70 e l’altra di 65 anni ed ha il privilegio di aver conosciuto i suoi trisnipoti. Poi, dopo essere rimasto con noi una mezz’oretta, ci dice: “Ora devo proprio andare!”. Ci saluta, sempre con il suo ottimo italiano, e dandoci la mano ci augura buona  fortuna. Poi, senza aiuto, attraversa la passerella e ci saluta con la mano un’ultima volta. Lo seguiamo con gli occhi mentre esce dal cancello del Marina. Lo vediamo mettersi il casco, salire sul suo motorino elettrico e allontanarsi piano piano. Giovanni, nato a Kos, anni 96, per noi è stato un vero privilegio l’averti conosciuto. Prima di lasciare Lakki facciamo un salto da un "chandler" ben fornito dal quale finalmente trovo le chiavi che cercavo. Poi riconsegniamo il motorino e lasciamo il Marina verso le 11, dopo aver fatto il pieno d'acqua. Usciamo dalla baia proprio mentre stanno entrando una nave militare ed una nave cisterna. La costa meridionale dell'isola e' rocciosa e con poca vegetazione. Attraversiamo Stenon Lero lasciando Nisos Glaronisia, su cui c'e' un piccolo faro, sulla dritta. Qui incrociamo una barca a vela che sta risalendo a motore. Poi costeggiamo la costa orientale di Kalymnos caratterizzata da alti rilievi ed acque profonde. Arriviamo ad Ormos Palionisos alle 14,20 dopo aver percorso una quindicina di miglia. Al suo interno il mare è totalmente calmo e quasi a ridosso della spiaggia vi sono delle grandi boe di colore bianco ed arancione, che sono state posizionate dai due ristoranti in fondo alla baia. L’ormeggio è gratuito, ma è corretto consumare al ristorante di riferimento almeno un pasto. Al momento vi sono solo un paio di barche. Noi optiamo per un gavitello arancione e dopo aver fatto una ricerca su internet telefoniamo alla “Taverna Ilias” chiedendo cortesemente se possono venire a prenderci con un barchino.  Nel ristorante c'e' un gruppo di escursionisti tedeschi dall'aria poco socievole, poi arrivano altri clienti, tutti con uno zaino in spalla. Scopriamo così che la zona e' molto frequentata, oltre da chi va per mare anche dagli scalatori. Le ripide pareti che circondano la baia si prestano infatti a questa attivita'. La simpatica proprietaria ci porta degli ottimi calamari alla griglia, triglie fritte, patatine e un'insalata di barbabietole con una speciale salsa rosa. Mentre stiamo pranzando arrivano un altro paio di barche: una e' quella di Rune, il nostro amico norvegese, l'altra un bel Hallberg Rassy 53 battente bandiera olandese e con una attempata coppia a bordo. Rune ci raggiunge al ristorante accompagnato dalla fidanzata Simona e dopo le presentazioni di rito ci invita per la serata a bere qualcosa sulla sua barca. Verra' a prenderci con il suo tender verso le 19 e trascorriamo un paio d’ore parlando del piu' e del meno e assaggiando per la prima volta un "grog", un mix di acqua e rum che si beve tutto d'un colpo dopo aver addentato una fetta di limone intinta in un mix di zucchero di canna e cannella. Veramente buono. Rune ci spiega che la tradizione del "grog" fu introdotta nella Marina britannica dal Vice Ammiraglio, Edward Vernon, verso la meta' del 1700 in quanto tale miscela si rivelo' non solo un ottimo antidoto per combattere la scabbia, ma anche per diluire un poco la dose di rum giornaliera che al quel tempo i marinai  di Sua Maesta' ricevevano sulle navi. Una cosa, questa, che ignoravo. Hai voglia di andar per mare, ogni volta c’è sempre qualcosa da imparare.

(Giornale di bordo)

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