CRONACA, LETTERARIA E NON, DELL'ANDAR PER MARE







sabato 19 ottobre 2019

Ormos Palionisos (Kalymnos) - Vathi (Kalymnos)


Notte tranquilla al gavitello. Al mattino c’è un po’ di foschia, il che contribuisce a rendere l’atmosfera della baia ancora più magica. Partiamo alle 9, quando intorno a noi ancora tutto tace. Anche sul Bavaria di Rune e Simona non vediamo movimenti. Vorremmo salutarli e ringraziarli per la serata di ieri, ma non vogliamo disturbarli. Procediamo a motore, in una totale assenza di vento. Alle 11, dopo una manciata di miglia, entriamo nel fiordo di Vathi, poco più a sud, mentre una barca a vela inglese lo sta lasciando. Già lo conosco per esserci stato una quindicina di anni fa. Un soggiorno che mi aveva lasciato un bellissimo ricordo. Rispetto ad allora alcune cose sono cambiate. In primo luogo è stata notevolmente migliorata la banchina, che ora ti consente di ormeggiare di poppa senza correre il rischio di toccare il fondo con il timone, sempre a patto di poter attraccare nella parte limitrofa al molo del traghetto. Per il resto i fondali continuano ad essere troppo bassi. Ormeggiamo accanto ad un enorme Bavaria Cruiser 55 che ha tutta l’aria di essere stanziale. Habibti in confronto sembra un moscerino, ma non cambierei l’una per l’altra neanche a morire. Rispetto al passato ci sono anche delle colonnine per l’acqua e l’elettricità. Ci colleghiamo ad una di esse pagando 10 euro ad un tipo che sembra "Capitan Findus" e che ha una bancarella poco distante nella quale sono esposte spugne e conchiglie. In effetti Kalymnos, in passato, era famosa per le sue spugne la cui raccolta e vendita costituivano una delle sue principali risorse economiche. Poi sono arrivate quelle sintetiche e il mercato delle spugne naturali è scomparso. Non è detto che la modernità porti sempre con se’ il progresso e lo sviluppo. Per lo meno non in questo caso. Facciamo una passeggiata fino ai ruderi della basilica di Santa Irene. Accanto ad essi è stata costruita una chiesetta. Mentre percorriamo il sentiero per raggiungerla ci si accoda una cagnolina che sembra averci adottato. Dalla chiesetta si ha una vista dall’alto dello stretto fiordo, che è una vera e propria chicca in questa parte d’Egeo. Continuiamo la nostra passeggiata risalendo il versante della montagna. Intorno a noi solo qualche ulivo e tanti sassi. Quando incrociamo un escursionista un po’ scorbutico che sta ridiscendendo, quella che credevamo una fedele compagna ci tradisce immediatamente e si accoda a lui. Nel mentre, arrivano tre enormi caicchi carichi di turisti che ormeggiamo al molo del traghetto in uno spazio davvero molto stretto. Si capisce immediatamente che per loro si tratta di una manovra di “routine”. Poco dopo arriva anche uno X-Yacht 412 con skipper e famigliola nordica a bordo. Una barca un po’ datata, ma sempre bella. Dai caicchi scendono decine di persone che in un attimo trasformano questo posto prima deserto in uno molto affollato. I negozi di souvenir fanno affari. Anche le fotografie si sprecano. In giro ci sono alcuni arrampicatori che fanno del “bouldering” ad un metro dalla superficie dell’acqua. Quando il passaggio non gli riesce, si sente un tonfo e lo scalatore riemerge poco dopo. Altri, invece, affittano dei kayak e vanno ad arrampicare un poco più lontano, ma c’è anche chi affitta una canoa semplicemente per fare un’escursione nel fiordo. Guardando i due giovani scalatori americani che stanno stendendo il loro materiale per terra, corde, moschettoni, “friends” e quant’altro mi prende un po’ di nostalgia. In loro rivedo i gesti miei e di Fabrizio, il mio abituale compagno di cordata con il quale abbiamo condiviso tanti bei momenti su crode e montagne e che oggi non c’è più. Nascondo la mia malinconia proponendo a Tania di sederci ad un tavolino della taverna alle spalle di Habibti e di berci un bicchierino di ouzo. Una volta seduti, oltre all’ouzo ordiniamo un’insalata greca, saganaki, polipo fritto, polipo alle cipolle e patatine. Nel pomeriggio arriva un’altra barca a vela con bandiera turca che prende il posto dei caicchi che se ne sono appena andati. A bordo, oltre allo skipper, c’è una elegante coppia di tedeschi. Lui piuttosto anziano e lei non più giovane ma molto bella e soprattutto garbata. Si siedono accanto a noi sulla terrazza della taverna e scambiamo qualche convenevole. La coppia è esattamente agli antipodi del gruppo di giovani greci che parcheggiano la loro auto color giallo canarino e tutta “sbombata“ sul molo. L’unica cosa che sembra funzionare bene del veicolo è l’impianto stereo dal quale esce musica “rap”, sparata a tutto volume. I tipi sono carichi di catene d’oro, anelli, orecchini e con un taglio di capelli tale che, anche se uno avesse avuto il dubbio di trovarsi di fronte a dei cretini, questo dubbio, al solo vederli, sarebbe immediatamente svanito. Si siedono anche loro ad un tavolo della taverna. La maggior parte dei diportisti che abbiamo incontrato in questi giorni sono tedeschi, inglesi o nordici in generale, e la giornata odierna non fa eccezione. Ad un certo punto, guardando l’ingresso del fiordo non credo ai miei occhi. Sta arrivando il Cyclades 50 che in questi giorni ci sta perseguitando. In banchina è rimasto un solo posto disponibile per una barca di quelle dimensioni, piuttosto stretto e proprio accanto ad Habibti. Non mi resta che andare ad aiutarli nell’ormeggio sperando che non facciano pasticci come a Patmos. Una parte dell’equipaggio è cambiato rispetto ai giorni scorsi, ma il timoniere e l’uomo all’ancora sono gli stessi. C’è anche il tipo con il sorriso ebete stampato sul viso. La manovra, seppur con un po’ di tensione a bordo, va a buon fine. Una volta terminata, devo solo allentare le mie cime d’ormeggio per allontanarmi un poco dalla loro barca ed evitare che i loro parabordi restino compressi contro la nostra “bambina”. Nel frattempo arrivano altre due imbarcazioni. La prima è un’enorme catamarano, con un’atletica coppia di scandinavi a bordo, e che, grazie al suo scarso pescaggio, riesce comunque ad ormeggiare di poppa dove il fondale e' piu' basso. La seconda, invece, è una piccola vela che non supera i 6 metri di lunghezza con una giovane coppia greca e un bambino piccolo a bordo. La barchetta riesce ad ormeggiare di prua con l’aiuto del proprietario di un piccolo cabinato che è lì vicino. Guardandola mi ricorda tanto “Meltemi”, il Comet 800 di cui condividevo la proprietà con il caro amico Nando e con il quale, un bel po’ di anni fa, ho cominciato ad andar per mare. I nostri vicini tedeschi, terminato l’ormeggio... e lasciata tutta la strumentazione di bordo accesa, si inerpicano sulla montagna antistante. Li vediamo dal basso, tutti sparpagliati in mezzo alle rocce, mentre sta scendendo il buio. Dopo un‘ora, quando ormai è notte, non vedendoli comparire ci viene il dubbio che siano riusciti a perdersi tra le pietraie. Invece, mentre facciamo due passi in paese, li vediamo tranquillamente seduti in una delle taverne sulla piazzetta che da sul porto. Meno male! Tornati in barca, scopriamo che il negozio alle nostre spalle è il ritrovo dei pochi giovani di Vathi. Verrebbe da dire: “Qual’e’ il problema?". Nessuno, se non fosse che stanno ascoltando musica “rap” greca sparata a palla. Resisto per un poco, sperando che il negozio prima o poi chiuda, invece quel delirio sembra non voler smettere. Possibile che anche un posto come questo debba essere cannibalizzato in questo modo? Decido così di fare un po’ il rompiscatole. Mi affaccio nel negozio dove il gruppetto è seduto intorno ad un computer al quale sono collegate due enormi casse e chiedo se gentilmente possono abbassare un po’ il volume. I ragazzi si scusano e vi provvedono subito. Nonostante le acconciature e l’abbigliamento non giovino alla loro immagine, in definitiva sono gentili ed educati. “D’altra parte”, mi dico, “che altro possono fare dei quindicenni che vivono in questo angolo sperduto per potersi sentire non così diversi dai loro coetanei che vivono in città?”. Ed è così che, nonostante il “subwoofer” continui a rimbombare, decido di non farci più caso e di andare a dormire. Il tempo di chiudere gli occhi e il sonno riporta il silenzio.... almeno nei nostri timpani.

(Giornale di bordo)

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