CRONACA, LETTERARIA E NON, DELL'ANDAR PER MARE







mercoledì 16 ottobre 2019

Lipsi- Lakki (Leros)


Facciamo colazione nello stesso bar limitrofo al porto nel quale siamo venuti ieri mattina. Qui incontriamo un simpatico gruppo di italiani di Peschiera. Ci dicono che, come ogni anno in questo periodo, si sono presi una settimana di vacanza da trascorrere in barca. Lavorano tutti per la stessa azienda che opera nel settore turistico affittando motoscafi, gommoni e pullman sul lago di Garda. Hanno preso il loro catamarano a Bodrum dove devono rientrare sabato prossimo. Ci chiedono qualche informazione sugli ancoraggi della zona, che gli diamo volentieri, in base alle nostre esperienze. Si lamentano del fatto che uno dei charter di tedeschi ormeggiati accanto a loro ha tenuto la musica a palla fino a tarda notte. Sono gli stessi che ieri avevano ormeggiato di poppa il loro catamarano senza utilizzare l’ancora. Fortuna che noi ci siamo addormentati presto e non li abbiamo sentiti. Lasciamo tutti Lipsi poco dopo. Loro diretti ad Arki, noi verso Lakki a Leros dalla quale ci separano circa 17 miglia. Non c’è vento, ma alziamo comunque la randa. Inizialmente puntiamo sull’isola di Nisos Arkhangelos, a nord di Leros. Sono curioso di vedere quella zona, nella quale il portolano segnala la presenza di due cantieri e di alcuni buoni ancoraggi. Mentre entriamo nel canale di Stenon Farios, tra Nisos Arkhangelos e la terra ferma incrociamo un paio di barche a vela tra cui una battente bandiera italiana, che salutiamo. Nelle baie meridionali dell’isolotto roccioso di Nisos Arkhangelos vi sono diverse barche alla fonda, tra cui un enorme yacht a motore che, a vederlo in questo contesto, è un vero pugno in un occhio e un bel Hallberg Rassy. Nello stretto si incanala un po’ di vento che finalmente riesce a stabilizzare la randa. Ma durerà poco, appena riprendiamo la rotta parallela alla costa occidentale di Leros la randa ricomincerà a sbattere, tanto che alla fine decidiamo di abbassarla. C’è talmente poco vento che riesco a fare la manovra in poppa piena. Ci seguono da lontano alcune altre barche a vela. Nel primo pomeriggio entriamo nella profonda baia di Lakki che, durante il periodo dell’occupazione italiana del Dodecanneso, costituiva un’importante base navale. Abbiamo prenotato un posto al “Lakki Marina”, mentre Dale e Linda hanno ormeggiato “May Dream” alla banchina  comunale che  è gratuita. Volendo visitare l’isola lasciando Habibti incustodita preferisco, avendone la possibilità, saperla su una trappa. Ormeggiamo tra un Oceanis 393 con bandiera francese e un First 45 di una coppia greca dal quale ci teniamo ad adeguata distanza, visto come sono ridotti i suoi parabordi che, totalmente cotti dal sole, lasciano delle spesse tracce nere e collose sulla sua fiancata. Entrambi gli equipaggi stanno sistemando le relative barche per poterle alare nei prossimi giorni. Facciamo uno spuntino  con un paio di panini al prosciutto e formaggio seduti a prua. Con Dale e Linda abbiamo concordato di cenare insieme stasera. Fa molto caldo. Nel pomeriggio, mentre sto sonnecchiando sottocoperta, sento Tania far conversazione con la nostra vicina francese. Quest’anno hanno raggiunto Istanbul anche loro, ma nel mar di Marmara hanno avuto una piccola disavventura. Ignorando che l’isola di Imrali Adasi è una base militare che ospita un carcere di massima sicurezza, nel quale è stato detenuto anche il curdo Ocialan, vi hanno ingenuamente attraccato. Per due giorni sono stati trattenuti dalle autorità militari dell’isola, senza poter comunicare con l’esterno. La barca è stata setacciata da cima a fondo e solo dopo una bella ramanzina gli e’, infine, stato consentito di ripartire. Ma, mi viene da pensare, la gente non li legge i portolani? Che da Imrali Adasi occorra tenersi ad almeno 3 miglia di distanza è scritto molto chiaramente! Al calare del sole, dopo aver completato le formalità al Marina, ritroviamo i nostri amici scozzesi che ci invitano a bere un aperitivo in pozzetto. Parlando delle sue navigazioni in Scozia, delle correnti e delle maree che caratterizzano quei posti, Dale mi mostra una foto impressionante di “May Dream” abbarbicata su una scogliera. “Di notte l’ancora aveva mollato”, mi dice, “e quando c’è ne siamo accorti la corrente aveva già trasportato la barca in una zona di bassi fondali”. ”Inoltre, la bassa marea montante”, aggiunge, “ci ha impedito di spostarla e, alla fine, ci siamo trovati con “May Dream” adagiata su un fianco sulle rocce”. A vedere la foto, non posso fare a meno di pensare che il Westerly è sicuramente una barca estremamente robusta in quanto qualunque “plasticone” si fosse trovato in quelle condizioni si sarebbe  sicuramente disintegrato. Per scegliere in quale ristorante cenare facciamo una passeggiata in centro. Il che ci da l’occasione di constatare che Lakki ha veramente un’impronta italiana. Molti edifici, infatti, sono stati costruiti nel  periodo fascista e ne portano chiaramente l’impronta. Per la verità la cittadina ci pare un pochino triste, soprattutto se paragonata a tutte le altre località visitate sulle isole greche fino ad oggi. Ceniamo da “Petrino”, un ristorante che propone esclusivamente piatti di carne e che si rivela  essere ottimo. Yeoryios, il proprietario è un personaggio, estroverso e un po’ confusionario. Ci racconta di aver vissuto per tanti anni in Belgio e inoltre parla anche un buon italiano. Siamo i primi avventori della serata, ma con il passare del tempo il locale si riempie. Ad un tavolo si siede anche l’equipaggio del  Cyclades 50, quello che aveva tentato “l’abbordaggio” di Habibti a Patmos, che avevamo rivisto a Lipsi e che, nei prossimi giorni, ormeggiera’ nuovamente accanto a noi anche a Vathi, sull’isola di Kalymnos. Una vera persecuzione. Tuttavia, prima di lasciare il ristorante ci avviciniamo al loro tavolo e li salutiamo con un ampio sorriso chiedendogli con tono bonario se hanno fatto progressi nel loro “training” per migliorare la fase di ormeggio. Ci rispondono, anche loro sorridendo, che seppur lentamente ma qualche miglioramento c’è stato. E così, dopo il piccolo diverbio che avevamo avuto a Patmos, pace è fatta.

(Giornale di bordo)

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