La temperatura durante la notte è scesa di diversi gradi. Molto di più del solito, tanto che mi sono dovuto alzare per chiudere gli oblò che di solito lasciamo aperti per una migliore aerazione. Con il sole per prima cosa riappaiono le vespe. Insetti veramente fastidiosi e per quanto ne so anche del tutto inutili. Per non essere infastiditi facciamo colazione sottocoperta. Poichè il trasduttore della nuova stazione del vento tarda ad arrivare a Turgutreis decidiamo di proseguire verso Marmaris. Saltando la tappa al D-Marin, dovremo trovare un altro posto dove poter stampare il contratto d'acquisto del nuovo tender da mandare ad Alp ad Istanbul. Speriamo di riuscire a stamparlo a Datca, dove intendiamo arrivare dopodomani. La meta odierna è Knidos dove ci auguriamo di non trovare troppa gente. Purtroppo mi è ritornato il dolore alle mani e anche un po' di epicondilite al gomito del braccio destro. D'altra parte non utilizzare mani e braccia in barca non è semplice. Non c'è vento e siamo costretti ad utilizzare il motore. In mare aperto incrociamo qualche imbarcazione ed arriviamo a Knidos verso le 11. Ormeggiamo all'inglese al pontile dove per il momento c'è solo un catamarano. Una decina di minuti più tardi ormeggiano davanti a noi due battelli che trasportano i turisti provenienti da Palamut o da Datca. Tra le persone che sono a bordo vi sono alcune donne, tra cui una ragazza piuttosto bruttina, che indossano l'hijab ed un vestito lungo fino ai piedi. Il sito archeologico di Knidos attira molti visitatori. La maggior parte lo raggiungono in auto via terra, ma c'è anche chi abbina questa visita con una gita via mare. Dai battelli appena arrivati scendono tutti tranne le donne vestite con l'hijab che se ne restano sedute per tutto il tempo in barca. Hanno tutte un'aria piuttosto triste e un atteggiamento sull'orlo dell'apatia. Naturalmente ognuno è libero di pensarla come vuole, ma ci sono aspetti della tradizione islamica che continuo a non comprendere, pur avendo vissuto nei paesi di religione musulmana per moltissimi anni. Approfittando della presenza di una colonnina dell'acqua sul pontile riempiamo il serbatoio. Nel frattempo si è alzato un gradevole venticello e quindi decidiamo di fare una passeggiata lungo lo stesso itinerario dello scorso anno. Dopo più di due ore e mezza di camminata pranziamo al ristorante che si affaccia sulla baia. Qui facciamo la conoscenza di un nostro vicino di tavolo che sentendoci parlare italiano attacca bottone dicendoci, tra l'altro, di avere una casa a Roma. L'ennesima conferma di quanto in genere i turchi amino l'Italia. Il pranzo è una delusione, non tanto per la qualità del cibo, ma per il prezzo smisurato del conto. Quasi il doppio rispetto a quello che avevamo pagato l'anno scorso prendendo più o meno le stesse cose. Ne fa fede la fattura che Tania recupera tra quelle conservate nel suo faldone "dei ricordi". Capisco che la lira turca si sta deprezzando a vista d'occhio, ma la cifra è proprio esagerata per gli standard di questo paese. Un vero peccato, in quanto sicuramente non ci torneremo mai più. Sulla parte opposta del pontile troviamo ormeggiato un Bavaria 36 di una coppia di tedeschi con un cane dalmata. Sono molto educati e ci fanno i complimenti per quanto Habibti sia luminosa grazie ai tre grandi osteriggi che ha in coperta. Montiamo il tendalino e scendiamo in quadrato a riposare. Ci svegliamo dopo un paio d'ore e trascorriamo la serata in pozzetto ascoltando un po' di musica. Peccato che il sito archeologico non sia illuminato, come invece lo era negli anni scorsi. Era una piccola chicca per chi trascorreva la notte in questa baia le cui vestigia acquistavano ancor più valore sotto il riflesso delle luci.
(Giornale di bordo)

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