CRONACA, LETTERARIA E NON, DELL'ANDAR PER MARE







mercoledì 19 giugno 2019

L'ultimo viaggio di Ulisse



Quando mi diparti' da Circe, che sottrasse
me piu' di un anno la' presso Gaeta,
prima che si' Enea la nomasse,
ne' dolcezza di figlio, ne' la pieta
del vecchio padre, ne' 'l debito amore
lo qual dovea Penelope far lieta,
vincer potero dentro a me l'ardore
ch'i' ebbi a divenir del mondo esperto,
e di li vizi umani e del valore;
ma mi misi per l'alto mare aperto
sol con un legno e con quella compagnia
picciola de la qual non fui diserto.
L'un lito e l'altro vidi infin la Spagna,
fin nel Morocco, e l'isola d'i Sardi,
e l'altre che quel mare intorno bagna.
Io e 'compagni eravam vecchi e tardi
quando venimmo a quella foce stretta
dov' Ercule segno' li suoi riguardi,
accio' che l'uom piu' oltre non si metta:
de la man destra mi lasciai Sibilia,
de l'altra gia' m'avea lasciata Setta.
"O frati", dissi "che per cento milia
perigli siete giunti a l'occidente,
a questa tanto piccola vigilia
d'i nostri sensi ch'e' del rimanente,
non vogliate negar l'esperienza,
di retro al sol, del mondo senza gente.
Considerate la vostra semenza:
fasti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e conoscenza".
Li miei compagni fec'io si' aguti,
con questa orazion picciola, al cammino,
che a pena poscia li avrei ritenuti;
e volta nostra poppa nel mattino,
de' remi facemmo ali al folle volo,
sempre acquistando dal lato mancino.
Tutte le stelle gia' dell'altro polo
vedea la notte e 'l nostro tanto basso,
che non surgea fuor del marin suolo.
Cinque volte racceso e tante casso
lo lume era di sotto da la luna,
poi che 'ntrati eravam ne l'alto passo,
quando n'apparve una montagna, bruna
per la distanza, e parvemi alta tanto
quanto veduta non avea alcuna.
Noi ci allegrammo, e tosto torno' in pianto,
che' de la nova terra un turbo nacque,
e percosse del legno il primo canto.
Tre volte il fe' girar con tutte l'acque;
e la quarta levar la poppa in suso
e la prora ire in giu', com'altrui piacque,
infin che 'l mar fu sovra noi richiuso.

(Dante Alighieri, Divina Commedia Inferno Canto XXVI)

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