CRONACA, LETTERARIA E NON, DELL'ANDAR PER MARE







lunedì 25 marzo 2019

Ormos Paignou (Kira Panaya) - Mirina (Limnos)



Questa mattina la sveglia è alle 5.15. Fuori è ancora buio, ma ci attendono una sessantina di miglia fino a Mirina, la citta' piu' importante di Limnos, dove vorremmo arrivare nel tardo pomeriggio. Alle 6, appena fa luce, recupero l'ancora e partiamo. Il pescatore ci ha preceduti di poco e lo incroceremo un quarto d'ora piu' tardi mentre sta pescando in una baia sotto una parete strapiombante. Non c'è vento e il mare è calmo. Nel tratto tra Kira Panaya e Nisos Youra, un'isola un poco più a nord e totalmente disabitata, intravediamo il monastero che si trova sulla prima delle due. E' veramente fuori dal mondo. Nisos Youra, soprattutto se vista da nord, da veramente l'impressione di essere un bastione di roccia a protezione delle altre isole meridionali. Le sue alte pareti cadono a strapiombo sul mare e viste dal basso incutono un certo timore. Mi immagino le onde che si infrangono alla loro base nei giorni di tempesta e il vento che sibila sulle creste dove non c'è la minima presenza di vegetazione. Qualche miglio più a nord lasciamo sulla sinistra il piatto scoglio di Nisida Psathoura sul quale è collocato un faro e con lei salutiamo l'ultimo pezzo di terra delle Sporadi settentrionali. Non lontano intravediamo un peschereccio, mentre di barche a vela, dopo l'unica incrociata nel canale dell'Eubea, continuiamo a non vederne nessuna. Il fondale in questo tratto è molto profondo. Risale intorno ai 130 metri in un tratto segnato sulla carta come If Glafki. Si tratta probabilmente di un altopiano sottomarino che si prolunga verso nord-est per alcune miglia. Qui troviamo una corrente contraria di un nodo e mezzo che scompare una volta che il fondale precipita ad oltre 1000 metri di profondità. La vetta innevata del Monte Athos, che supera i 2000 metri d'altezza, traspare al di sopra della foschia all'orizzonte. La sua sagoma, che con il trascorrere delle ore diventerà via via più chiara, ci accompagnerà per tutta la giornata. Mentre navighiamo leggiamo un po' della sua storia e di come è organizzata la vita dei monaci ortodossi che vi vivono. Il portolano riporta nel dettaglio la collocazione dei vari monasteri: di quelli nei quali i monaci vivono in comunità e di quelli in cui essi vivendo di risorse personali si ritrovano insieme solo per pregare. Esistono anche dei monaci girovaghi e degli anacoreti che vivono in assoluta solitudine. La penisola del Monte Athos costituisce una repubblica monastica dotata di autonomia amministrativa. E' assolutamente proibito approdarvi con la barca e tra le varie regole ancora vigenti vi è quella che vieta l'ingresso alle donne. Un tempo pare che fosse addirittura vietata la presenza di animali di sesso femminile, oltre che di uomini "dai tratti gentili". Il che, con tutto il rispetto, la dice lunga sugli effetti che può causare sulla psiche umana una vita trascorsa nel rispetto di regole così arcaiche e stringenti. Lentamente, a dritta, appare l'isola di Ay Evstratios che ho letto essere spesso invasa dalle cavallette. Poi, all'orizzonte si delinea la sagoma di Limnos, caratterizzata da dolci declivi. Mentre "Volfi", il fido Volvo Penta da 55 cavalli di cui è dotata Habibti, continua a lavorare facendoci macinare miglia facciamo uno spuntino: acciunghe con pane e burro, insalata russa con birra e arak. Alle 16.30 entriamo nel porto di Mirina. Le banchine che il portolano indica essere riservate al transito sono tutte occupate dai pescherecci. Mentre sul lungo molo del vecchio frangiflutti non c'è nessuno. Ormeggiamo lì all'inglese. Poi ci rechiamo subito alla Capitaneria dove ci accolgono un paio di funzionari. Gli consegniamo il DEPKA, il documento che consente la navigazione nelle acque greche e che occorre rinnovare ogni anno, e facciamo presente che Mirina sarà il nostro ultimo porto greco di transito e che domani intendiamo entrare in Turchia. Mi attendevo che vi ponessero un timbro d'uscita dal paese o che me lo ritirassero, invece mi chiedono che se lo voglio rinnovare. In questo caso perderò alcuni mesi di validità. Poichè la sua scadenza è a fine giugno e noi fino ad ottobre probabilmente non saremo più in acque greche mi pare un'ottima occasione. Appena confermo che sono d'accordo al rinnovo del documento ha inizio una inattesa lotta con la burocrazia. Mostro i documenti e il tagliando dell'assicurazione. Il funzionario mi dice che quest'ultimo non è sufficiente. Mi chiede di vedere anche il documento dal quale risulta l'ammontare della somma assicurata. Glielo mostro, lo guarda e poi mi dice :"Non è sufficiente!". "Come non è sufficiente", replico. "Mica posso assicurare una barca per un valore superiore a quello di mercato!". Poi cerco di far presente che è la terza volta che rinnovo il DEPKA e che questo problema non è mai sorto. La situazione mi pare bloccata quando mi viene in mente che forse il mio interlocutore desidera conoscere l'ammontare che l'assicurazione copre per la responsabilità civile. Non mi resta che tornare in barca e cercare questo dato nel contratto assicurativo. Lo trovo. Il tutto però è scritto in italiano, il che potrebbe costituire un ulteriore problema. Ritorno in ufficio, gli mostro la cifra e il funzionario aggiunge: "Ma è prevista anche la copertura in caso di inquinamento delle acque?" Mi verrebbe voglia di mandarlo a quel paese, invece gli dico: "Certamente!!!". "Bene!", prosegue, "Quando la polizia avrà controllato i vostri passaporti potrete partire". "Ma come", dico basito, "siamo cittadini dell'Unione Europea, mica abbiamo bisogno del visto d'uscita. Poiche' dobbiamo necessariamente partire questa notte, prima che arrivi il brutto tempo, alla polizia i passaporti se vuole li potremmo portare noi". "Non è possibile!", ribatte. "Oggi è festa nazionale e c'è in visita il capo del secondo partito politico greco pertanto tutti gli agenti sono impegnati". La ciliegina sulla torta arriva infine quando, una volta rinnovato il DEPKA, lo stesso funzionario mi dice: "A proposito. La barca dove l'avete messa non ci può stare. La dovete spostare. Più tardi dovrebbe arrivare una grande nave militare". Spostata Habibti al vecchio molo di attracco dei traghetti ormai in disuso, facciamo finalmente due passi in paese. Qui c'è gran festa, con tanto di banda militare. Il politico in questione sta facendo un discorso nella veranda di un bar tra gli applausi di uno sparuto pubblico. La polizia ha chiuso la strada di fronte al locale e tutto il traffico è bloccato. I negozi, essendo una festività, sono chiusi. Noi siamo stanchissimi. Mentre ci aggiriamo alla ricerca di una taverna dove cenare incrociamo uno dei funzionari della Capitaneria. Si avvicina e ci dice:"Alla polizia abbiamo mandato la fotocopia dei vostri passaporti. Hanno detto che e' sufficiente e che se volete potete partire". Alleluia!!! Ceniamo sollevati da "Gavros", il gabbiano, una taverna sul porto con una splendida vista sulla fortezza genovese che sovrasta il paese e che è tutta illuminata. Mentre ritorniamo in barca riguardo la banchina dalla quale ci hanno fatto spostare e vi vedo ormeggiata una piccola motovedetta della Coast Guard. "Tutto qui 'sto popò di roba che doveva arrivare?", dico a Tania. Poi, proprio mentre stiamo entrando in barca, in porto fa ingresso un pattugliatore della Marina che una volta terminato l'ormeggio finisce effettivamente con l'occupare l'intera banchina.

(Giornale di bordo)   

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