Ci svegliamo con calma, anche perchè vorremmo dedicare la giornata odierna a visitare l'isola. Il vento, anche oggi fisso da nord-est, ha rinforzato nuovamente. In termini assoluti al momento non è tantissimo, 20-25 nodi, ma dovendo risalire di bolina ci troveremmo la solita fastidiosa onda ripida e corta di fronte. Il porto è pressochè deserto. Ci sono solo un paio di persone che stanno lavorando ad un gozzo sullo scivolo in cemento e quattro barche ormeggiate sul pontile meridionale: un caicco, due cabinati a motore e un peschereccio sul quale però non c'è anima viva. Risalendo il primo tratto di strada che conduce al paese di Turkeli, che dista circa quattro chilometri, fotografiamo Habibti ormeggiata tutta sola soletta nella parte settentrionale del porto. La strada è piuttosto polverosa e le abitazioni che si trovano ai suoi lati hanno porte e finestre sbarrate. Devono essere tutte seconde case che vengono aperte esclusivamente durante la stagione estiva. Sono chiusi anche il supermercato della Migros e un paio di piccoli alberghi nei quali si stanno facendo dei lavori di ristrutturazione. Camminiamo per un paio di chilometri quando una macchina si ferma e il conducente ci chiede se vogliamo un passaggio. Perchè no? Conosciamo così Servet che, nel breve tragitto fino in paese, fa in tempo a raccontarci di essere stato a Napoli e a Brindisi quando lavorava sui traghetti. Comunichiamo in un misto di italiano, turco, inglese e linguaggio dei segni. Quest'ultimo sicuramente il più efficace. L'abitato nel suo complesso non è un granchè, ma ha il fascino della semplicità. Più tardi verremo a sapere che Avsa Adasi è la meta di un turismo turco popolare. L'isola, infatti, non è distante da Istanbul ed è facilmente raggiungibile con il traghetto e con poca spesa sia da Tekirdag, una città sulla costa settentrionale del Mar di Marmara, che dalla più vicina Erdek, che si trova su quella meridionale. Ci sediamo all'aperto in un bar davanti al molo dove attraccano i traghetti e beviamo un classico thè. Davanti a noi, c'è un anziano pescatore che sta mettendo in ordine il suo piccolo gozzo. Lo lava accuratamente con l'acqua di mare, ripone le reti, le copre con un grande telo in plastica e poi, dopo essersi acceso una sigaretta, prende la bottiglia d'acqua in plastica che aveva tra le mani e la getta in mare, come se ciò fosse la cosa più naturale del mondo. Il che ci fa dedurre che in quanto a rispetto per l'ambiente da queste parti siamo ancora piuttosto indietro. Sulla piazza accanto al molo dei traghetti ci avviciniamo ad una bancarella dove vendono il pesce. Purtroppo ci sono solo sardine e un tipo di pesce che non conosciamo. Di friggere in barca non se ne parla, quindi desistiamo. Compriamo invece un paio di bottiglie di vino bianco del posto, oltre a fare un altro po' di spesa in un supermercato. Poi, con un taxi, visto che siamo carichi di pacchi, ritorniamo in barca per pranzo. Verso le 15 il vento rinforza più del previsto fino a raggiungere in tarda serata i 40 nodi. Habibti è ormeggiata a dovere nella parte più ridossata del porto. Inoltre il vento ci allontana dalla banchina. Rinforzo comunque l'ormeggio. Non vorrei invece trovarmi in questo momento sulla banchina meridionale, opposta alla nostra. Il porto, infatti, è molto grande e con questo vento forte al suo interno si forma un'onda sufficientemente alta da infrangersi sulla banchina stessa. In più, la risacca fa il resto. Alcune delle barche che si trovano in quella parte del Marina hanno addirittura quattro trappe ciascuna e sono distanziate dal pontile almeno 5-6 metri. Solo il caicco e il peschereccio, che hanno una notevole stazza, sembrano incuranti. Habibti, dal canto suo, prendendo il vento al traverso e' un po' inclinata su un lato. Ma ormeggiare di poppa a quest'ora e con questo vento non avrebbe senso. In alcuni casi, il meglio è il nemico del bene.
(Giornale di bordo)
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