CRONACA, LETTERARIA E NON, DELL'ANDAR PER MARE







giovedì 7 luglio 2022

Robinson Kreutznauer


Al sesto giorno di navigazione penetrammo nella rada di Yarmouth. A causa del vento contrario e della bonaccia, dopo la burrasca, avevamo percorso ben poca distanza. Qui fummo costretti a gettare l’ancora, e poiché il vento continuava ad essere contrario, e cioè a soffiare da sud-ovest, restammo alla fonda per sette o otto giorni, durante i quali innumerevoli navi provenienti da Newcastle entrarono nella rada, che è il rifugio consueto ove temporeggiare in attesa del vento favorevole, per imboccare l’estuario del Tamigi e risalire il fiume. Non ci proponevamo certo di restare ancorati per tanto tempo e avremmo risalito il fiume con la prima marea; ma il vento era troppo impetuoso e dopo quattro o cinque giorni di sosta si mise a soffiare con molta forza. Nondimeno, siccome la rada era reputata sicura come un porto, l’ancoraggio saldo e gli ormeggi molto robusti, i nostri uomini non se ne davano pensiero: non avevano timore di eventuali pericoli e trascorrevano il loro tempo a oziare e divertirsi, secondo le buone abitudini marinaresche. La mattina dell’ottavo giorno il vento si abbatté con raddoppiata energia e tutti gli uomini furono mobilitati per ammainare gli alberi di gabbia e restringere ogni superficie, in modo che la nave non avesse eccessiva difficoltà a restare agli ormeggi. Poi, verso mezzogiorno, il mare si era gonfiato a tal punto che la nave, con la prua semisommersa, iniziò ad imbarcare acqua, tanto che, un paio di volte, avemmo l’impressione che l’ancora si fosse sganciata dal fondo. Fu allora che il Comandante ordinò di gettare l’ormeggio di emergenza e così rimanemmo assicurati con due grappini a prua e le gomene filate per tutta la lunghezza. Da quel momento si scatenò una burrasca veramente spaventosa, ed io vidi che la paura e lo sgomento si dipingevano persino sul volto dei marinai. Anche il capitano, sebbene fosse impegnato con tutte le sue energie a salvare la nave, mentre entrava e usciva dalla sua cabina che era accanto alla mia, mormorò ripetutamente: “Signore, abbi pietà di noi, siamo perduti, questa è la fine!” Proseguendo con altre simili invocazioni. Durante la concitazione di queste prime manovre, io me ne rimasi come imbambolato, chiuso nella mia cabina a poppa, e davvero non saprei dire in quale stato d’animo mi trovassi. Non potevo certo recitare la parte del pentimento che avevo deliberatamente respinto e contro il quale mi ero corazzato; cosicché finii con il pensare che, anche in questa occasione, avrei sconfitto il terrore della morte e che tutto si sarebbe risolto in nulla, come la prima volta. Quando però, come ho già riferito, sentii dire dal capitano, che eravamo tutti perduti, fui preso dalla paura. Mi alzai, uscii dalla cabina e volsi lo sguardo intorno. Non avevo mai visto uno spettacolo così terrificante: ogni tre o quattro minuti, montagne d’acqua si alzavano dal mare per poi frangersi contro di noi; e spingendo lo sguardo più lontano non vidi altro che rovina e desolazione. Due navi ormeggiate a breve distanza avevano dovuto mozzare gli alberi all’altezza del ponte per ridurre il peso, e nello stesso momento i nostri uomini gridavano che un’imbarcazione, a circa un miglio da noi, era colata a picco. Le navi più leggere se la cavavano meglio, perché risentivano meno della violenza del mare; alcune tuttavia andavano alla deriva e sfilarono davanti a noi con la sola vela di bompresso spiegata a difesa dal vento. Verso sera il secondo e il nostromo chiesero al capitano l’autorizzazione a tagliare l’albero di trinchetto, ma questi si dimostrò riluttante; e solo quando il nostromo gli disse che, se avesse insistito nel rifiuto, la nave sarebbe affondata, il capitano accordò il suo permesso. Ma quando l’albero di trinchetto fu abbattuto, l’albero di maestra si trovò allo scoperto; cosicché la nave subiva paurosi contraccolpi e fu necessario tagliare anche quest’ultimo è fare piazza pulita sul ponte. Nessuno stenterà ad immaginare in quale stato io mi trovassi in simili frangenti, poiché, come marinaio, avevo scarsissima esperienza e pochi giorni prima avevo sopportato quel terribile spavento. Ma se mi è lecito esprimere, a distanza di tanto tempo, i sentimenti che provai in quel momento, il mio animo, per il fatto di aver abbandonato le giudiziose conclusioni alle quali ero pervenuto e di essere tornato ai miei sciagurati propositi, era in preda ad un orrore dieci volte più forte che se fossi stato al cospetto della Morte in persona.

(Daniel Defoe, Robinson Crusoe)

2 commenti:

  1. pazzesco!... Che tempi! Altro che predictwind..

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  2. È un libro che merita rileggere, in versione integralle

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