Oggi ci trasferiamo a Salina. Nelle prossime ore e'
previsto l'arrivo di una perturbazione, quindi ci fermeremo in porto in attesa
che questa passi. Le miglia da Panarea sono circa 11. Non c'è molto vento, ma
avendo tempo a disposizione procediamo a vela. Con Marco ed Elena l'intesa è
perfetta, frutto di tanti anni di amicizia fraterna. Marco è uno dei miei più
cari amici d'infanzia, con il quale ho condiviso mille avventure. E' stato
anche mio testimone di nozze ed io sono il padrino di Andrea, suo primogenito
che, manco a farlo apposta, ha lo stesso nome di Andreina, la mia figlia
maggiore. Con Elena quest'anno festeggiano i 23 anni di matrimonio. Una coppia
affiatata, positiva, ironica, con i piedi ben piantati per terra. Impossibile
non stare bene con loro. Giunti a Salina, prima di entrare in porto getto
l'ancora poco lontano dal suo ingresso. Fa caldo e un bagno in mare è
assolutamente indispensabile. Alle 16 ormeggiamo. Accanto a noi c'è un
motorsailer battente bandiera inglese. Il suo capitano è uno psichiatra in
pensione. Un economista, una giudice e una terza persona dalla professione
"indecifrabile" compongono il resto dell'equipaggio. Tutti molto
"british". L'abitato di Santa Marina di Salina è molto gradevole. La
via principale è stata trasformata in isola pedonale. In un negozio
attrezzatissimo finalmente mi decido a comprare un coltello da subacqueo da
tenere a bordo. Il negozio è di proprietà di due simpatici anziani signori. Ci
dicono che tra un paio di settimane terminerà la stagione turistica e che
sull'isola piombera' il coprifuoco. Entrambi non mi paiono entusiasti dei due
ristoranti che alcuni amici mi avevano segnalato e nei quali intendevamo cenare
durante il nostro soggiorno. In modo molto garbato ci dicono che "Capo
Faro" è, a loro avviso, un po' troppo pretenzioso, mentre il pane cunzato
che si mangia "da Alfredo" a Lingua "sarà famoso ma è 'na
mappazza". Ci consigliano invece "Porto Bello", suggerendoci di
assaggiare la pasta al fuoco, fatta in casa e con un sugo a base di peperoncino,
capperi, pomodorini, basilico e ricotta infornata. Prendiamo nota e continuiamo
la nostra passeggiata. Attira la nostra attenzione un cartello con la scritta
"vietato fotografare" posto su una porta di una stanza a livello
della strada dove vendono vino Malvasia. Il proprietario è un arzillo
vecchietto di 93 anni dall'impegnativo nome di Re Umberto. Scopriremo più tardi
che il cognome Re qui è molto diffuso. Sulle prime infatti pensiamo che
l'anziano signore sia un po' fuori di testa o, nella migliore delle ipotesi,
che ci stia prendendo per i fondelli. Poi gli chiediamo il motivo di quello
strano cartello. La spiegazione parte da lontano, infatti comincia a dirci che
durante la seconda guerra mondiale ha prestato servizio in marina, che negli
anni '50 la maggior parte della sua famiglia è emigrata in Australia, che ha
molti nipoti che aspettano impazientemente che muoia per beneficiare
dell'eredità, ma che lui non gli darà nulla, tranne ad una nipote femmina che è
l'unica a prendersi veramente cura di lui. Quanto infine al cartello ci dice
semplicemente che quella è casa sua e che, giustamente, non capisce il perchè
la gente debba fotografarla. Non osiamo fargli osservare che forse è proprio a
causa di quel bizzarro cartello che i turisti si fermano a scattare fotografie.
Mentre si sta parlando, una distinta signora con "r" moscia e accento
del nord d'Italia gli chiede se è lui che vende capperi. Lui la guarda,
riflette un poco e poi gli risponde: "No. Non sono io che vendo capperi ma
quel signore che abita un po' piu' avanti nella via". Ed aggiunge:
"Però i capperi non li coltiva lui, prende quelli che crescono sul bordo
della strada, dove i cani ci pisciano sopra!". Che tipo, Umberto Re. Sulla
via del ritorno verso la barca siamo affascinati dal colore trasparente
dell'acqua sul lungomare. Impossibile non fare un altro bagno. Poi ci fermiamo
per una granita, quando improvvisamente cominciano ad arrivare delle
violentissime raffiche. Tutto accade in un attimo, tanto che lo stesso aliscafo
che stava attraccando viene sbattuto violentemente contro la banchina
riportando parecchi danni sulla fiancata. Mi precipito in porto e arrivo giusto
in tempo per evitare che la poppa di Habibti finisca contro il pontile
galleggiante. Purtroppo gli inglesi, che non sono a bordo, non hanno cazzato
sufficientemente la loro trappa e tutto il peso della loro barca si abbatte
sulla nostra che a sua volta viene spinta contro il pontile. Purtroppo nel
porto di Salina, oltre a pagare l'esorbitante prezzo di 100 euro a notte con acqua
e luce non incluse per un 11 metri e mezzo, c'è per ogni barca una sola trappa.
E questo è il risultato. Fortunatamente, mentre mantengo la marcia in avanti
con il motore su di giri per evitare di fare danni allo scafo a poppa, gli
ormeggiatori con l'aiuto di un gommone riescono a raddrizzare la barca degli
inglesi. Scampato pericolo. Più tardi usciamo a cena al ristorante. Chi
troviamo, un po' alticci, seduti al tavolo accanto al nostro? L'allegra
combriccola britannica, totalmente ignara di quanto accaduto. Sarei tentato di
mandarli a spandere, poi, diplomaticamente, mi taccio.
(Giornale di bordo)
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