Verso le 3 di notte il vento cambia direzione di 180 gradi e comincia a soffiare da ovest alzando nella baia una leggera onda che sbattendo sulla poppa di Habibti da un po’ fastidio. Poi alle 5 si calma e ritorna il silenzio. Ci alziamo presto e riceviamo la visita di Jean-Marc e Caroline che sono interessati a vedere Habibti. Restano con noi a chiacchierare una mezz’oretta mentre ci prepariamo a salpare. Uno di membri dell’equipaggio dell’altro Hallberg Rassy ci dice che nei prossimi giorni hanno in mente di raggiungere Agathonisi, un’isola a 25 miglia ad est di Fournoi, che costituisce la nostra destinazione odierna. Poi proseguiranno per Leros dove aleranno la barca per l’inverno. Appena Jean-Marc e Caroline se ne sono andati entra in porto lo stesso grande peschereccio con una parte dell’equipaggio egiziano che ieri si era ormeggiato nello spazio riservato al traghetto alle spalle di Habibti. Da bordo ci chiedono di avanzare un poco sul pontile in modo da potersi affiancare anche loro e lasciare libero lo spazio al ferry. Ma poiché siamo pronti a partire preferiamo lasciargli tutta la banchina a disposizione. Ci ringraziano e ci salutano mentre recuperiamo le cime d’ormeggio. Attraversiamo a motore la baia e lo stretto canale di Steno Diapori che separa Nisos Thimena dall’omonimo isolotto di Nisos Diapori, lungo e stretto, che è a sua volta diviso da Fournoi da uno strettissimo tratto di mare non navigabile. Ai lati del canale le scogliere scendono a picco. Usciti dal passaggio, anche se non c’è molto vento alziamo comunque la randa, tanto per stabilizzare la barca. Nella limitrofa e ben ridossata Cliff Bay sono alla fonda una barca a vela ed un paio di pescherecci. Un’altra barca a vela, ora diretta a nord, ha invece trascorso la notte ad Ormos Kampi, una delle baie meridionali di Fournoi dove c’è un piccolo molo che, con un po’ di attenzione ai fondali, può essere utilizzato per l’ormeggio. A sud di Ormos Kampi vi sono una serie di altre baie ben protette dal Meltemi, ma aperte ai venti da sud-ovest. Tutte tranne quella più meridionale vicina a capo Ak. Agridhio che è aperta solo a sud. Superiamo il capo e lasciamo gli isolotti di Makronisi e quello dal nome poco rassicurante di Megalos Anthropofagi sulla dritta. Per un tratto procediamo a vela con randa e genoa, poi montiamo il code 0. Lavoro inutile in quanto poco dopo siamo costretti a chiuderlo. Il vento è girato nuovamente da est e ora lo abbiamo diritto sul naso. Poiché aumenta progressivamente di intensità e non ci va di metterci a bolinare con un’onda crescente, raggiungiamo la ormai vicina Agathonisi a motore. Il cielo nel frattempo è diventato sempre più scuro e schiviamo d’un pelo un paio di acquazzoni. Dopo circa 7 ore di navigazione entriamo nell’ampia baia di Ay Yeoryios, sul lato meridionale dell’isola, incrociando un Hallberg Rassy 46 con bandiera italiana che sembra puntare verso Fournoi. Vediamo anche arrivare in lontananza, provenienti da Arki, altre cinque barche a vela che scopriremo far parte di una flottiglia. Dalla baia principale di Ay Yeoryios si dipartono tre baie secondarie più piccole. Ci dirigiamo inizialmente verso quella orientale, che ci pare meglio ridossata e dove ci sono alla fonda gia’ un paio di barche. Mentre ci avviciniamo notiamo che una di esse sta mettendo una cima a terra in direzione della spiaggia, occupando in questo modo tutta l’area in cui il fondale è più basso. L’altra invece è un charter con un equipaggio inglese composto da un uomo e due donne. Nello spazio disponibile il fondale è abbastanza profondo. Do fondo una prima volta sui 15 metri ma l’ancora non agguanta. Recuperandola tiro su un ammasso di alghe e fango ultra compatto. Ripeto la manovra una seconda e una terza volta cambiando leggermente posto e dando sempre molta catena in modo da facilitare la presa. Niente da fare, sempre lo stesso risultato. Inutile continuare a perdere tempo. Il fondo è decisamente pessimo tenitore, tanto che non sono del tutto convinto che l’ancora del charter di inglesi abbia effettivamente agguantato a dovere. Decidiamo così di cambiare baia. Nella prima ad ovest entra onda. Quella principale, dove c’è il molo per l’attracco del traghetto, è decisamente affollata tanto che sul molo stesso c’è un assembramento di barche ormeggiate a pacchetto. La baia laterale più piccola, sempre ad ovest, invece è deserta e ben ridossata. È abbastanza stretta ma il fondo è di sabbia e dopo aver portato due cime a terra l’ancoraggio risulta perfetto. In quel momento, proprio mentre arriva un caicco che ormeggia anche lui portando una cima a terra non lontano da noi, comincia a piovere a dirotto. Caliamo velocemente il code 0 che essendo tutto bagnato distendiamo sulla tuga fissandolo per bene. Poiché sono decisamente infreddolito, per evitare di prendermi un accidente faccio una doccia bollente e mi copro per bene. A questo punto, seduto confortevolmente in “dinette”, è un vero piacere sentire il ticchettio della pioggia sulla tuga. Il temporale dura una mezz’ora, poi il cielo piano piano si schiarisce. Il luogo in cui ci troviamo si chiama Cave Bay ed è un incanto. Prende il nome da una piccola grotta che si trova quasi sulla spiaggia e nella quale, durante il temporale, ha trovato riparo un pescatore che, poco più tardi, vediamo alle prese con un bel polipo. Dietro alla spiaggia vi è un campo di ulivi, mentre sul versante di fronte a noi, tra la macchia mediterranea c’è una strada che dal limitrofo paese conduce alla spiaggia. Per cena cuciniamo una crema di funghi che accompagniamo con una bottiglia di vino rosso. Poi, sempre per rimanere in tema, insalata di funghi condita con olio, limone e prezzemolo. Una volta lavati i piatti non ci resta che andarcene a letto.
(Giornale di bordo)
(Giornale di bordo)
Nessun commento:
Posta un commento