Il vento nella notte è leggermente diminuito. Con tutte le barche arrivate ieri sera la banchina è piuttosto affollata. Facciamo colazione con gli ottimi cornetti comprati ieri in una delle panetterie di Skala. Mentre sto lavando la barca per rimuovere il sale accumulato negli ultimi giorni, Dale passa a salutarci. Indossa la maglietta di Habibti e decidiamo che controlleremo il “bow thrust” nel pomeriggio. Poi facciamo un salto in farmacia e in ferramenta. Entrambe, essendo domenica, sono chiuse. Troviamo invece aperto il supermercato dove facciamo un po’ di spesa per rabboccare la cambusa. Tania sistema gli acquisti a bordo, mentre io faccio un salto a comprare pane e cornetti, che avevamo dimenticato. Tornato in barca, il tempo di scendere un attimo sottocoperta e sento Tania che, con voce concitata, mi urla di correre immediatamente fuori. Mi affaccio di corsa, appena il tempo di vedere la poppa di un Beneteau Cyclades 50, che sta procedendo a tutta forza in retromarcia, a meno di venti centimetri dalla murata di Habibti. Mentre mi getto nel tentativo di frenare con i piedi la poppa della barca che ci sta investendo, gridò al tipo che sta al timone di dare tutto motore in avanti e solo per miracolo riusciamo a scamparla indenni. A bordo del Cyclades ci sono cinque tedeschi agitatissimi che si muovono in modo scoordinato. Dalla banchina una signora non più giovane, tedesca anche lei, gli sta urlando istruzioni su come manovrare. Poi, scusandosi, in inglese ci dice che i cinque a bordo si stanno imparando a fare degli ormeggi. Ma, dico io, devono proprio venire ad esercitarsi nello spazio ristretto che c’è tra Habibti e un’altra barca a vela vicina, quando a soli dieci metri di distanza hanno tutta la banchina a disposizione? Ma ciò che mi fa più innervosire, non è il fatto che abbiano sbagliato totalmente la manovra con il rischio di entrarci dentro, in fondo tutti quanti abbiamo fatto le nostre cazzate alle prime armi, quanto che uno dei cinque, invece di scusarsi, come mi pareva normale, guardandomi con un sorriso idiota sulle labbra mi dice: “Don’t worry!”. A tale commento, visto anche come a bordo siano tutti “nel pallone” più totale, replico un po’ seccato che non sono preoccupato, bensì “molto” preoccupato e che se a loro non importa nulla di fare dei danni ad una barca che restituiranno fra una settimana, alla mia, invece, io tengo parecchio. Questa reazione sortisce fortunatamente l’effetto di far desistere il gruppo da nuovi tentativi. A questo punto, mi vengono spontanee alcune considerazioni. Capisco che tutti abbiano il diritto a godersi una settimana di vacanza in barca, ma prima di affittarne una, soprattutto di quelle dimensioni, non sarebbe forse meglio farsi un piccolo esame di coscienza e chiedersi se si è in grado di condurla in modo adeguato? Invece no. Certa gente, non solo non si pone minimamente il problema, ma reagisce anche in modo supponente. Una volta accertatomi che il gruppo non sia più in misura di fare danni, con il motorino ci dirigiamo verso la parte settentrionale dell’isola. Raggiunta Kampos, lungo una stradina asfaltata, ci muoviamo verso Livadi Kalogiron, una località sulla costa nord, che deve essere costantemente battuta dal vento, visto che in tutta la zona non c’è un albero, ma solo cespugli e muretti a secco costruiti dai pastori per proteggersi dal vento. Sempre sulla costa settentrionale, ci spingiamo fino a Kumaro e poi a Lampi, luoghi che troviamo entrambi un po’ desolati. Poi ritornando sui nostri passi, svoltiamo in direzione di Vagia’. Questa parte dell’isola, fino alla punta orientale di Patelia Beach è quella che ci è piaciuta di più. Belle baie, qualche spiaggia isolata e delle case ben integrate nell’ambiente circostante. Ci spingiamo fino alla punta orientale dove, in mezzo ad un enorme piazzale, c’è il relitto di una barca in ferro tutta arrugginita. Una visione un po’ inquietante, per la verità. Poco più in là, cerchiamo di raggiungere a piedi la piccola chiesetta di Panagia Geranou, ma la ripida stradina lungo la quale vi si accede è sbarrata da un cancello chiuso. Ci fermiamo in un bar sulla spiaggia di Vagia Bay dove troviamo, tra gli altri, diversi italiani. Ordiniamo un “club sandwich”, beviamo una birra e facciamo qualche partita a “tawle”, poi, verso le 16,30, torniamo in barca. Alle 17,00 ho appuntamento con Dale per cercare di capire quale sia il problema del “bow thrust”. Effettuiamo qualche prova. Constatiamo che quando lo si mette in funzione, il voltaggio, che non dovrebbe mai scendere sotto i 10,5 volt, diminuisce fino a 8,9 volt, il che provoca un conseguente consumo eccessivo della batteria. Tutto ciò senza che peraltro la prua della barca si sposti di un centimetro, ne’ da un lato ne’ dall’altro. Decidiamo allora di rimuovere il motore dell’elica di prua dalla sua posizione e domani di verificare lo stato delle spazzole e le varie connessioni. Nel frattempo è sceso il buio e il porto è nuovamente semi deserto. Noi siamo stanchi e per questo, una volta cenato a bordo, c’è ne andiamo volentieri a dormire.
(Giornale di bordo)
(Giornale di bordo)
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